Articoli da Paz: Virginiana Miller, Venga il Regno
Sulla Bellezza, Fossati diceva che, nessuno dovrebbe scriverci mai canzoni ma in questo caso, facciamo un’eccezione, e mi sento di salutare un piccolo capolavoro. Vengano i Virginiana e che sia il loro regno! Magari. Ah.. se fossero giovinetti come dei Verdena degli inizi, fine anni 90, che clamore, che tour ci sarebbero. Già, ma non scriverebbero testi come questi presenti nel disco. Parole vissute e pregne che si possono capire e vivere forse solo dopo una certa età. Be fosse così ci teniamo i nostri vecchietti molto volentieri. E comunque i Nostri a fine novanta c’erano già eccome.
E “Venga il Regno” è un disco che spazza ogni dubbio sulla statura di questo gruppo e che li proietta nel definitivo quanto friabile libro della storia della musica italiana quindi non solo d’autore. I Virginiana Miller han fatto un disco più bello del loro scorso Il primo lunedì del mondo, che era molto intenso e difficile da doppiare. Grazie quindi Virginiana dell’impresa, non pensavamo si potessero lasciare indietro pezzi come Oggetto piccolo (a), Lunedì o La carezza del Papa. La ricetta di questo disco è esattamente la stessa del disco in questione di tre anni prima. Ci sono le canzoni tenerissime. I ritratti sociali commoventi. Ci sono singoli quasi radiofonici ma troppo preziosi per finirci. C’é del rock e della canzone d’autore. C’è quel che faceva bene forse solo uno in Italia e cioè proprio Fossati, in compagnia magari di quei buoni nipotastri dell’odierna scuola romana incarnata dai Fabi/Silvestri/Gazze’.
Per questo nel 2013 quelli della Fandango si sono sbattuti non poco per fargli giustamente vincere un David di Donatello per la canzone originale, attraverso la colonna sonora di un film di Virzi’, film tratto nientemeno che dal romanzo “La generazione” di Simone Lenzi che è la voce che state ascoltando in questo album. Il pezzo (e il film) è per “Tutti i santi giorni” che qui ritroveremo ad aprire il secondo lato (esiste ancora?) del nostro magnifico album in questione. D’altronde brani come questo o Una bella giornata, su una radio Deejay a caso, assieme ad altri pochi autori pop indie, cambierebbero alcune prospettive del mai cosi’ stordito popolo italiano. Quanto meno provocherebbe l’effetto che ci fu con l’Agosto dei Perturbazione.
Tra le novità c’è che la musica è più aperta alle soluzioni furbe e questo non snatura l’indole dei toscani. Hanno imparato le grandi aperture, a cantare più in alto, e nel disco si sente. Infatti talvolta, le soluzioni usate sono forse troppo simili nei brani. Ciò per alcuni potrebbe appesantire il viaggio sonoro ma penso che questo lo noteranno quelli scafati e gli abituati ad ascoltare tutto il disco avanti e dietro senza skippare come cantavano proprio i Perturba. E poi c’è da dire che indubbiamente è un disco razzista, si, difficile d’ascoltare. E’ razzista perchè senza avere un amore tra le braccia non se po’ sentì. Per i cuori solitari o sprezzanti ci sarà forse repulsione, un istinto al salto dal balcone. Soluzione caustica ma indolore invece è reprimere tutta la gamma d’istinti interni, abbandonarsi alla scrittura mai così leggera e intensa nello stesso momento. Potremmo definirlo anche come un disco di musica leggera – ma è un eufemismo se al massimo ascoltate i Tiromancino, e il vostro Spotify possiede le discografie complete di Elisa o il romanticismo dei Negramaro.. e allora potreste trasgredire con Fossati pardon con i Virginiana Miller. Mixateli sti emmepitre -se ne esistono ancora- mischiate i vostri file liquidi i vostri supporti non supporti, non so come minchia ascoltate la musica nel 2024. Fatelo con il Fossati del disco miracolo del 2003 “Lampo viaggiatore” o “Musica Moderna” e qualcosa di “Decadancing” o giù nel passato con il periodo di “Panama e dintorni”. Poi prendete del De Andre’, o meglio, provate dopo diversi ascolti notturni a sognarli come dei nuovi Luigi Tenco, al tempo, e nell’era Berlusconiana/Letta o Renziana (un horror in pratica). Ma no! Che intelligente meraviglia malinconica. Alla fine insomma, ciò che emerge è la maggior leggerezza (ancora lei) rispetto a queste icone della canzone d’autore e della penna musicale. In Venga il regno c’è una voglia viva di pop e di raccontare l’Italia e il cuore che ci vive, in grande stile e con acquerelli alle volte dirompenti, quasi sempre dolenti. Ma c’è al contempo, una band rock, elegante, matura. Il tutto su una scrittura ricercata, quella del leader, del caro Simone Lenzi che canta intenso e trova il modo di far sanguinare anche la frase più abusata, e fa venire voglia di scrivere delle sue visioni, perfino uno che si è ritirato nella tana come me.
Pasquale “Paz” Scevola
Riproduzione riservata ©
Post a Comment
Devi essere connesso per inviare un commento.