I Vinili Di Un Gonzo: Juice di Ryo Kawasaki, puro succo concentrato di emozioni funk
Giungo davanti alla porta del mio appartamento e infilo la chiave nella serratura come una spada. Con una spallata la apro ed entro goffamente in casa, aiutato da Noël, liberandomi di tutto ciò che ho addosso. Lancio la giacca da una parte, faccio volare le scarpe dall’altra e il mio cellulare fa un lungo volo con atterraggio sicuro sul divano. Noël mi fa notare che, dopo la nostra consueta passeggiata serale, ha un discreto appetito. La sfamo e subito dopo accendo distrattamente la tv più per abitudine che per un reale desiderio di essere intrattenuto dal tubo catodico, che mi sta richiedendo di fare una veloce scansione automatica dei canali per poter tornare a vedere il piattume di sempre. Passo, spengo la tv e mi stappo una birra gelata. Mi dirigo verso la mia collezione di vinili, alla disperata ricerca di dare un senso ad una serata di metà settimana che, altrimenti, non sarebbe altro che inevitabile condanna al giorno seguente. Le mie goffe dita cercano tra le varie copertine di quei dischi dimenticati dalla gloria commerciale fino a fermarsi quando giungono davanti alla copertina dell’album Juice, del chitarrista jazz funk giapponese Ryo Kawasaki. Non ci penso su due volte: estraggo il disco, lo posiziono sul piatto e lascio che la puntina rilasci il suo potere taumaturgico sul povero bastardo che vi sta scrivendo. Pura magia.
La copertina presenta il disegno di un arancio sbucciato per metà, fino a rivelare una sorta di microchip sferico collegato a diodi e fili colorati. La scelta di pubblicare questo disegno in copertina è forse da ricondurre al ruolo di inventore e programmatore che Ryo Kawasaki ha ricoperto, oltre ad essere uno tra i più importanti artisti ad aver contribuito alla diffusione del Jazz Fusion a livello mondiale. Egli ha infatti inventato nel 1979 il suo sintetizzatore per chitarra e l’azienda elettronica nipponica Fostex gli ha chiesto di essere il primo artista ad usare il registratore ad otto tracce A8 che ai tempi aveva da poco immesso sul mercato. Kawasaki ha anche sviluppato il Sintetizzatore Kawasaki per Commodore 64, un software per composizione musicale elettronica su due cassette e diventato ben presto uno dei punti di riferimento per la creazione di contenuti elettronici per chitarra.
Tornando strettamente a Juice, l’album è il quinto album solista di Kawasaki, noto anche per collaborazioni con gruppi ed artisti che hanno segnato in modo indelebile la storia e il successo del Jazz Funk come i batteristi Chico Hamilton e Elvin Jones. Fin dalla prima traccia Raisins (uva passa), l’ascoltatore viene proiettato nella fruttata atmosfera funkeggiante di questo album strepitoso. Il ritmo lento di Sometimes porta alla mente gli intermezzi musicali che caratterizzano i vecchi episodi di Lupin III, intento a mettere a segno uno dei suoi strepitosi colpi. The Breeze And I è un brano marcatamente disco che introduce anche sonorità nipponiche nel suo ritornello che creano un mix perfetto.
Ogni brano che compone il fantastico disco di questo immenso artista, morto nel 2020 e rimasto nel dimenticatoio della cosiddetta musica mainstream, come direbbero quelli bravi, è un fantastico viaggio sensoriale dove la musica fa da filo conduttore per quel famoso sciame sismico di orgasmi sonori in grado di far godere anche l’ascoltatore più esigente. Chiaramente si tratta di musica di un certo livello, deve piacere il genere e il talento dell’artista in questione (del quale parleremo a breve in un prossimo articolo) ma prendendo in prestito un vecchio slogan pubblicitario opportunamente modificato il consiglio rimane sempre quello: ascoltare per credere.
Hank Cignatta
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