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    Mad Magazine, la dissacrante e necessaria cura per un mondo che ha perso il senso dell’umorismo

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    Non ricordo neanche più quando questo mondo ha smesso di ridere: le risate hanno lasciato spazio ad imbarazzanti polemiche fine a loro stesse, sterili riflessioni su cazzate gigantesche che farebbero impallidire anche il più abbottonato dei bigotti. La situazione mi ricorda molto l’episodio de I Griffin in cui Peter dimentica come ci si siede: uno sketch velocissimo della durata di pochissimi secondi, ma capace di catturare l’attenzione dello spettatore per farlo ridere di gusto per una palese puttanata.

    E’ accaduto più o meno la stessa cosa con l’anestetizzazione del senso dell’umorismo, ma drammaticamente all’incontrario. E prima che questa società liquida incominciasse a prendersi troppo fottutamente sul serio, c’era una piccola e folle cura in grado di ricordare a tutti che non è un delitto ridere, magari anche di sè stessi e dei proprio difetti. Quella cura aveva il nome di Mad Magazine. La prima volta che ho sentito parlare di Mad Magazine ero un ragazzino, alle prese con la mia razione quotidiana di Simpson, rigorosamente in onda dopo l’ora di pranzo sul sesto canale del telecomando. La puntata in questione si chiama La città di New York contro Homer, primo episodio della nona puntata (famosa, tra le altre cose, per aver “predetto” l’attentato alle Torri Gemelle dell’undici settembre 2001, alimentando la teoria che I Simpson abbiano una certa e più benevola sindrome di Cassandra), che vede Bart aggirarsi per le strade della Grande Mela fino ad imbattersi negli uffici della redazione di Mad Magazine. Non sapendo allora che cosa fosse e non cogliendola, la citazione di quell’episodio fu per me (e credo per molti miei imberbi coetanei) totalmente priva di significato: guardandola oggi dà l’idea di quanto quella rivista satirica sia fondamentale nella contro cultura statunitense.

    Una delle tante citazioni fatte a Mad Magazine nelle prime strepitose stagioni de I Simpsons. Tutti i diritti riservati del video di cui sopra alla 20th Century Fox

    Mad Magazine si abbattè come un cliclone sull’America puritana e perbenista nell’autunno del 1952 su idea dei pazzi e visionari editori Harvey Kurtzman e William Gaines, i quali la lanciarono dapprima come serie a fumetti per poi farla diventare una rivista vera e propria. Mad Magazine ha legato il suo nome alla EC Comics (casa editrice di fumetti di narrativa horror, satirica, militare, fantasy di proprietà dello stesso Gaines), diventando uno dei più grandi successi della casa editrice. Sotto la direzione editoriale di Kurtzman la rivista arriva a farsi conoscere, facendo della satira sociale e della cultura popolare elementi che saranno il marchio di fabbrica e del successo della publicazione. Kurtzman lascia Mad Magazine nel 1956 per approdare in una novità editoriale di un giovane magnate dei media chiamato Hugh Hefner che fonderà la sua rivista Playboy. Nello stesso anno il ruolo editoriale di Mad venne affidato a Al Fledstein, che mantenne la carica fino al suo ritiro nel 1985: sotto la sua direzione la rivista quadruplicherà la sua diffusione, toccando nel 1974 il picco di tiratura di 2.132.655 unità vendute. Questo è stato possibile anche grazie al coinvolgimento da parte di Feldstein di fumettisti del calibro di Don Martin, Frank Jacobs, Mort Drucker, Antonio Prohìas, Dave Berg e Sergio Aragònes.

    Al Feldstein, l’anima di Mad Magazine

    Uno dei punti nevralgici di Mad Magazine è la figura di Alfred E. Neumann, personaggio fittizio icona e mascotte della rivista. Neumann è rappresentato con le fattezze di un ragazzino, dai capelli rossi scompigliati, le lentiggini e le orecchie a sventola. Il personaggio era già comparso nell’iconografia statunitense in alcune illustrazioni pubblicitarie, per poi comparire per la prima volta sul magazine nel 1954. Da allora il volto di Neumann sulle copertine di Mad Magazine non è mai mancato, diventando sinonimo stesso della rivista nonchè uno dei loghi statunitensi più riconoscibili e famosi tanto quanto il suo slogan “What, me worry?” ( “Cosa, preoccupato io?”).

    Alfred E. Neuman, mascotte di Mad Magazine

    Nel corso della sua storia Mad è stata testimone dei più grandi avvenimenti della storia del mondo e degli Stati Uniti degli ultimi sessantasette anni di questo scalcinato mondo. Ha fatto parodie sulla musica, politica, cinema, attori, cantanti, presidenti diventando un punto di riferimento per generazioni di comici e di semplici persone in grado di saper prendere una battuta per quello che è e riderci su, senza troppe seghe mentali. Mad Magazine è stato quel barlume di luce nel buio del conformismo dilagante, amplificato e peggiorato con l’avvento sempre più massivo ed invasivo di Internet e dei social network. Ha instillato il senso dell’umorismo ad un’intera nazione, facendo incazzare i benpensanti e ridere di gusti ragazzini ed adulti. Esattamente come accaduto in tempi recenti per la rivista Playboy , anche Mad Magazine dall’autunno dell’anno scorso è sparito dalle edicole. Non è del tutto scomparso, ma non pubblicherà più nuovi contentui mensili e ci saranno gli speciali di fine anno e numeri contenenti il meglio di una realtà editoriale che ha saputo con il suo ritmo incalzante raccontare in un modo unico vizi e virtù di un mondo (apparentemente) libero. Una drastica ridimensionata ad un qualcosa capace di parlare alla coscienza della gente, farla riflettere, regalando loro un sorriso quando magari non c’era niente da ridere o si era troppo occupati per poterlo fare. Probabilmente una scelta figlia di questi tempi incerti e pericolosi, dove una sana e goliardica follia stride con il rigido e stucchevole perbenismo che porta davvero nulla di buono. Anzi.

    Hank Cignatta

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    Sono la mente insana alla base di Bad Literature Inc. Giornalista pubblicista, Gonzo nell’animo, speaker radiofonico, peccatore professionista, casinista come pochi. Infesto il web con i miei articoli che sono dei punti di vista ( e in quanto tali condivisibili o meno) e ho una particolare predisposizione a dileggiare la normalità. Se volete saperne di più su di me e su Bad Literature Inc. leggete i miei articoli. Ma poi non dite che non siete stati avvertiti.

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