Editoriale Gonzo: Quell’inutile rigonfiante senso di autostima
Ci siamo, finalmente. Siamo ufficialmente in primavera. Almeno secondo il calendario perché si sa, le stagioni ormai fanno un po’ il cazzo che gli pare. Esattamente come tutto questo mondo incasinato. Uggiose giornate dalle temperature glaciali, radiose giornate con un’escursione termica di almeno sette gradi da quella precedente. Ma almeno siamo in primavera e questa dovrebbe essere una piccola buona notizia. Ed è pur sempre lunedì, abbiamo mille motivi diversi per incazzarci. Lasciamo quindi che un timido raggio di sole possa rendere questa giornata meno cazzosa.
Qualcosa di nuovo sembra muoversi nel panorama musicale nostrano, portato avanti da i Maneskin, il gruppo che si è aggiudicato la settantunesima edizione del festival di Sanremo. Probabilmente non è nulla di nuovo nell’accezione più pura del termine ma lo è sicuramente da (almeno) dieci anni a questa parte. Un ritorno a sonorità che non si sentivano più da tempo nel cosiddetto circuito mainstream, caratterizzato da canzonette magari orecchiabili che però rimangono rapidamente insapore come certe gomme da masticare. Infiamma quindi la polemica sui social, mezzo di atrofizzazione celebrale e involuzione culturale (nella maggior parte dei casi), dove i puristi del rock accusano la band romana di essere l’ennesima manifestazione incolore dello strapotere delle etichette discografiche. Per gli appassionati di rock (alcuni, presunti tali) i Maneskin sono diventati il nuovo pomo della discordia, tacciati di non essere all’altezza delle grandi divinità del rock con i quali, in senso dispregiativo, vengono sempre accostati come metro di giudizio negativo. Accostare sti ragazzi in certi paragoni è da capre celebrolese (senza offesa per le capre, sia chiaro) in quanto sono esempi che non reggono il confronto. La questione diventa altresì divertente quando certi concetti arrivano da coloro che si sono sempre lamentati che il rock non sia più in grado di giungere al grande pubblico come in passato, con un panorama musicale perennemente assediato da motivetti latini, di fattura trap o da smielate canzonette pop. Saranno queste solo canzonette? Probabilmente si, forse anche solamente fini a loro stesse come magari no. Resta l’annosa questione del prendersi troppo sul serio e in ogni situazione. Il risentito commento sui social diventa quindi lo strumento prediletto del tuttologo moderno che, dimessi per qualche minuto i panni di virologo, si reinventa consumato appassionato di rock in grado di riconoscere tutti i gruppi e gli artisti viventi, lamentandosi del fatto che nessuno sia in grado di portare qualcosa di vagamente interessante in tale campo senza essere in grado di andare oltre a quei pochi gruppi che osanna. Fin qui non ci sarebbe nulla di male, se ciò non diventasse una cieca ed ostinata forma di rifiuto nei confronti di qualcosa che può (e deve) essere presa per quello che è: una possibilità. Eccolo quindi, quell’inutile rigonfiante senso di autostima che i risentiti da social ricercano a tutti i costi, mettendo in salamoia ogni forma di buon senso. Ma non vale la pena di prendersela, per oggi. In fondo, è iniziata la primavera.
Hank Cignatta
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