I hurt myself this year, cronologia di un’annata dannata
Questo è lo sfogo di un anima rotta, a pezzi, completamente fottuta. Ho un sacco di ferite nell’animo e nel cuore, calpestati e sputati da quella figlia di puttana comunemente detta vita. Riverso in queste righe tutta la mia rabbia e la mia impotenza nei confronti degli avvenimenti accaduti in questi mesi e che hanno cambiato in modo indelebile la mia esistenza. E cerco di farlo con ciò che ho a disposizione: le parole. Guardo questo strano e pazzo mondo dalla mia finestra. Lo guardo e lo riguardo, cercando di trovare un senso all’intermittenza delle luci natalizie di alcune case, desiderio di un disperato ritorno alla normalità. Una parola che in questo disastroso 2020 ho sentito pronunciare spesso, quasi come se ciò che abbiamo vissuto prima di questa pandemia fosse qualcosa di socialmente accettabile. Finisco il whiskey contenuto nel mio bicchiere e, quasi meccanicamente, provvedo a riboccarlo con del Wild Turkey, la benzina che scalda il cuore, spicciola psicologia alcolica, distillato per l’eradicazione di una tristezza apparentemente incurabile. Non ho mai amato tirare le somme alla fine di un anno, in quanto ho imparato a vivere giorno per giorno. Ma quest’anno, porca di quella puttana, il destino beffardo ha davvero fatto gli straordinari. Quindi li faccio anche io.
Resto a fissare le tenebre della stanza nella quale mi trovo, attenuate da quelle luci natalizie che sembrano voler disperatamente dare una visione positiva del mondo a chi, quella visione positiva, l’ha persa da tempo. Continuo a sorseggiare il mio drink mentre contemplo i cambiamenti avvenuti negli ultimi mesi nella mia vita. Amici in difficoltà, alcuni scomparsi, la pandemia, i pochi contatti sociali ridotti a chiamate telefoniche o a messaggi audio sulle piattaforme di messaggistica istantanea e l’antropizzazione dei rapporti umani. Un mondo plastico, decisamente virtuale, nel quale mi sento sempre più fuori posto. Ripenso al mio cane Max, cucciolone di una vita, che mi ha lasciato per sempre a marzo per via di un male che me lo ha portato via nel giro di due giorni. E ripenso anche a mio padre, prematuramente scomparso in un’incerta mattinata di inizio ottobre a causa di un’infarto dopo una battaglia di tre settimane, che rimane il dolore più grande di tutti. E mi ritrovo a piangere, senza che io possa farci nulla.
La vita, chiunque tu sia intento a leggere lo sproloquio di un povero stronzo dal bicchiere lesto e dalla penna in fiamme, ci scombina sempre le carte in tavola. Sta a noi riuscire ad avere l’ultima mano vincente per poterle ridere in faccia. E mentre la cover di Hurt dei Nine Inch Nails eseguita da Johnny Cash risuona nella stanza posso affermare con assoluta certezza che si, quest’anno mi ha profondamente ferito. Ma sto tornando, più pazzo e cazzuto di prima. E questa, credetemi, è una promessa.
Hank Cignatta
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