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    Jeans in crisi: sbiadisce il mito di un iconico capo di abbigliamento?

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    Periodi strani quelli che stiamo vivendo, dove quelle che erano certezze assolute stanno diventando dubbi di proporzioni enormi, a volte anche in maniera del tutto sbagliata. Bisogna guardarsi a destra e a sinistra, fare attenzione a che cosa si dice, a che cosa si pensa e a che cosa si fa perché si potrebbe urtare la fine sensibilità di questa società che bacchetta a comando ma che, in soldoni, non capisce davvero un cazzo di niente. Abbiamo dato un nome ad una serie di problemi che da troppo tempo bussavano ad una porta ormai rotta e pronta al collasso, Coronavirus. Abbiamo imparato e ancora dovremo imparare a convivere con questo nemico invisibile pronto a bloccare il mondo intero ed in grado di farci capire che non siamo nient’altro che infinitesimali gocce di sperma che hanno macchiato le lenzuola della creazione e che ne hanno macchiato il materasso. E mentre c’era chi mentiva sapendo di mentire sberciando la stronzata dell’ #andràtuttobene il cuore pulsante di qualsiasi società funzionante, l’economia, sta inesorabilmente rallentando i suoi battiti vitali. E diversi settori stanno risentendo gli effetti nefasti di questa crisi.

    La crisi economica mondiale scatenata dal Coronavirus sta colpendo diversi settori della produzione

    I venti di crisi soffiano anche nel settore della moda, pesantemente colpito nel periodo di quarantena forzata. A risentire in modo particolare dell’emergenza Covid 19 è il settore dei jeans, che a quanto pare registra un calo di vendite a livello globale. Questa situazione si somma ad altre pre esistenti che vedono il jeans letteralmente spogliato del primato di capo di abbigliamento per eccellenza delle nuove generazioni. Le motivazioni sono molteplici e sono da ricercarsi innanzitutto nel drastico cambio di come viene percepita la moda e di come il business della vendita è cambiato. Siamo una società che va sempre di fretta, non ha più tempo per nulla e ha un fottuto bisogno di trovare tutto già preconfezionato, pronto all’uso per poi gettare nel tritatutto delle emozioni prematuramente vissute e non godute appieno. Capi di abbigliamento realizzati con modesti costi di produzione in grado di arrivare rapidamente su scala globale (vedasi i giganti delle catene di abbigliamento) e mode adattate alla bell’e meglio su individui che non sanno che cosa indossano e perché.

    Clint Eastwood, uno degli attori più famosi di Hollywood, ha fatto del jeans uno dei capi da lui più apprezzati

    A tutto questo va aggiunta anche la chiusura della White Oak di Cone Denim, una delle aziende americane di denim più famose, fondata a Greensboro, in North Carolina, dai fratelli Moses e Caesar Cone (avvenuta nel 2004) e che ha rifornito i più blasonati marchi di jeans del mondo. Da allora è davvero finita un’epoca, quella del jeans puramente made in U.S.A. e che ha contribuito a questo capo da lavoro di diventare uno dei simboli del mondo libero. Jeans sbiaditi, trattati chimicamente e di una qualità non più in grado di resistere alla prova del tempo hanno contribuito ad affossare drammaticamente il successo del jeans e del denim nella cosiddetta Generazione Z, che non fa di certo dello stile il loro punto di forza. Svengono nell’armadio e rinvengono come capita.

    La fabbrica White Oak di Cone Denim, punto di riferimento per la produzione di denim dall’inizio della sua storia fino al 2004, anno della chiusura definitiva

    E’ da diverso tempo che la Levi’s (dei cui iconici spot abbiamo scritto qui) , uno delle aziende produttrici di jeans più famose al mondo, lancia messaggi (neanche troppo sibillini) circa il preoccupante stato del settore del jeans e, in maniera più comprensibile, delle sue casse. Prima il problema era riuscire a poter fare breccia nel cuore della Z Generation, cercando di estendere la produzione anche ai cosiddetti chinos, pantaloni realizzati in 100% cotone. Poi è arrivato il Coronavirus, che ha costretto l’azienda a licenziare settecento persone, pari al quindici percento della sua forza lavoro. I tagli al personale sono stati giustificati in seguito agli effetti negativi della chiusura forzata che ha portato un meno sessantadue percento sul fatturato netto e una perdita netta stimabile in trecento sessantaquattro milioni di dollari. Numeri grossi, perdite che fanno decisamente male, E se questa emergenza sanitaria ci ha insegnato qualcosa, oltre al fatto che l’estinzione di massa è l’unica soluzione possibile ad una stupidità prolungata (perché errare è umano, ma perseverare è diabolico, cazzo!) è che davvero nulla dura per sempre, neanche quello che ci sembrava una certezza incrollabile. Sigarette elettroniche, monopattini e scooter elettrici, tute e suoni vacui e tutti uguali. L’originalità è l’unica arma rimasta a nostra disposizione per evitare che il virus dell’ignoranza continui a mietere vittime e fare danni devastanti, come già sta facendo da troppo tempo senza che qualcuno si alzi in piedi e si incazzi a dovere.

    Hank Cignatta

    © Riproduzione riservata

    Geniale spot della Levi’s. Scordatevi di poter vedere una pubblicità del genere: viola almeno sette comandamenti della dittatura finto-perbenista degli ultimi anni

    Sono la mente insana alla base di Bad Literature Inc. Giornalista pubblicista, Gonzo nell’animo, speaker radiofonico, peccatore professionista, casinista come pochi. Infesto il web con i miei articoli che sono dei punti di vista ( e in quanto tali condivisibili o meno) e ho una particolare predisposizione a dileggiare la normalità. Se volete saperne di più su di me e su Bad Literature Inc. leggete i miei articoli. Ma poi non dite che non siete stati avvertiti.

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