Flash Mob, un termine alla moda per definire il nulla più assoluto
Nella nostra frettolosa ma delicata società moderna tutto si deve fare rispettando dei principi ben precisi, onde evitare che la scure del pensiero perbenista si elevi per innalzare il proprio tsunami di indignazione a comando. Ecco quindi che, in un Paese tormentato da problemi come il nostro, non si usa più un modo diretto di lanciare un messaggio che viene demandato ai cosiddetti flashmob (letteralmente flash, inteso come evento rapido ed improvviso e mob, folla). Un gruppo di persone si riunisce in un determinato punto, ad una determinata ora del giorno e dopo un determinato segnale fa qualcosa che lascia abbastanza perplessi. Come in piena crisi sanitaria dovuta al Covid-19 dove condomini interi si affacciavano sui balconi per sberciare e suonare i coperchi delle pentole come in una puntata de La Corrida dei tempi d’oro (quella condotta da Corrado, chiaramente).
Le nuove generazioni sono state addestrate ad intendere questi flashmob come un qualcosa in grado di far smuovere le coscienze, di far arrivare i propri messaggi (quando ce ne sono, s’intende) nella stanza dei bottoni, pensando di far tremare i potenti a colpi di balletti sincronizzati e canzoncine. Stessa cosa vale per le fiaccolate, via crucis di speranze nonché manna dal cielo per i venditori di fiaccole e candele. Il termine flashmob è ormai entrato nella nostra quotidianità come tanti altri termini stranieri quali lockdown (letteralmente confinamento), week end, sugar tax, plastic tax e puttanate simili che, personalmente, mi fanno sanguinare occhi e orecchie ogni qual volta le sento. Per non parlare del francesismo clochard, sempre più in uso per riferirsi ai senza tetto: il fatto che sia un termine francese non nobilita di certo la posizione della persona alla quale ci si riferisce. D’altronde, definirli senza fissa dimora è un termine flaccido, non trovate?
Molto probabilmente qualche presunta testa benpensante potrebbe asserire che i flash mob e le fiaccolate sono degli strumenti utili per far prevalere importanti messaggi sociali in un contesto democratico. Certo, se non fosse che tale definizione è già di per sé un ossimoro, come dire gamberetto gigante. Che cosa può esserci di utile in un evento che, nella migliore delle ipotesi, farà ridere di gusto il cosiddetto “cattivo” della situazione? Che tipo di impatto sociale può avere un messaggio che, in buona sostanza, fatica a lasciare il segno? Molto probabilmente il povero bastardo che vi scrive sarà vecchio per comprendere certe dinamiche. O molto più semplicemente gli si è scucita la fodera dei coglioni a sentire e vedere certi palesi ed inutili dimostrazioni di irritante perbenismo fine a sé stesso. Quindi, in soldoni, che cos’è un flashmob? Forse l’ennesimo termine alla moda per definire il nulla più totale. Provate a definire tale cosa come azione dimostrativa: perde di impatto, di pathos giusto? Sentite anche voi che il nome stesso in bocca suona male, non fa fine ma, soprattuto, non impegna. Che, in questo mondo di specchi ormai rotti, non è importante. E’ l’unica cosa che conta.
Hank Cignatta
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