Django Reinhardt, il padrino del Gipsy Jazz
La musica è davvero un tipo di arte che non smette mai di stupire e dalla quale non si smette mai di imparare. Grazie ad essa si viene a contatto con storie strepitose, caratterizzate da personaggi che con la propria visione artistica sono riusciti ad incidere una tacca permanente nell’universo musicale. E la storia di Django Reinhardt è il classico esempio di come la vita, spesse volte in grado di scombinare le carte in tavola, riservi sempre qualcosa di straordinario. Nato da una famiglia di etnia di origini sinti in Belgio, era sempre in costante viaggio con la carovana di famiglia che giunse a Parigi quando aveva pochi mesi e dove vi si stabilì per gran parte della sua carriera artistica. Django mostrò fin dalla tenera età una particolare predisposizione nei confronti della musica e fu così che a diciotto anni poteva vantare una consolidata carriera di suonatore di banjo. Tutto cambiò quando la roulotte di famiglia venne devastata da un grave incendio nel quale Django riportò gravi ustioni che gli fecero perdere l’uso della gamba destra e parte della mano sinistra. L’anulare e il mignolo furono distrutti dalle fiamme e saldati insieme dalla cicatrizzazione.
L’incidente del quale fu vittima lo costrinse ad abbandonare il banjo a favore di una chitarra che gli venne regalata durante il periodo di convalescenza, che si presentava strutturalmente meno pesante e meno ruvida rispetto al cordofono nel quale aveva eccelso fino a prima della menomazione. Anziché abbatersi, Django sviluppò uno stile chitarristico particolare che gli permise di abbattere la limitazione causatagli dall’incidente: egli suonava infatti la chitarra con l’uso di sole due dita della mano sinistra (nel dettaglio l’indice e il medio) con il pollice che afferrava il manico. Ben presto il chitarrista francese intensifico la sua attività e iniziò a girare la Francia con delle orchestre finché a meta degli anni Trenta conobbe il violinista franco italiano Stéphane Grappelli con il quale diede vita al Le Quintette du Hot Club de France, quintetto di soli strumenti a corda.
Nel corso degli anni Django sviluppò una particolare abilità alla chitarra che gli permise di esibirsi in particolari e ricercati virtuosismi tecnici di tutto rispetto, abbinata ad una spettacolare propensione all’improvvisazione anche su brani ascoltati per la prima volta ha contribuito a consolidare la sua fama anche tra i professionisti che rimanevano doppiamente colpiti nello scoprire che Django non sapeva scrivere o leggere qualsivoglia spartito. La sua profonda conoscenza del Jazz mista alle sonorità appartenenti alla cultura musicale zingara facente parte del ceppo dei Manouches, i musicisti della cultura Sinti, con le sonorità del jazz americano che ben si amalgama con l’ecletticità musicale tsigana. Tra i brani più famosi di Django Reinhardt figurano Minor Swing, Belleville , Django’s Tiger e tante altre: il suono scanzonato della sua chitarra da vita a qualcosa di irresistibile in grado di far ballare chiunque e in qualunque situazione. Una vera e propria esplosione di creatività ed estro musicale circoscritto all’interno di un genere musicale che, sicuramente, tutto può fare tranne che lasciare indifferenti. Il Gipsy Jazz continua ad essere apprezzato e a influenzare nuove generazioni di artisti che hanno raccolto l’eredità di Django Reinhardt e ne continuano a portare avanti la tradizione musicale in una visione moderna: tra questi vanno citati Bireli Lagrene, Angelo Debarre, Stochelo Rosemberg e Frank Vignola. Reinhardt è stato anche esempio fondamentale per un altro grande artista, il chitarrista dei Black Sabbath Tony Iommi, il quale ha avuto in gioventù un incidente simile a quello del chitarrista francese nel quale una pressa gli ha amputato le falangi superiori del dito medio e dell’anulare della mano sinistra. Caduto in una spirale di profonda depressione per l’accaduto, si avvicinò alla musica di Django e spinto dal suo esempio riuscì a superare la menomazione e con i suoi assoli ha scritto una pagina fondamentale della storia dell’Heavy Metal.
Hank Cignatta
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