Creed II, ovvero quando la nostalgia non fa a pugni con la coerenza (per fortuna)
La saga di Rocky è entrata di diritto nella storia del cinema così come il suo protagonista principale, Sylvester Stallone. Alla “tenera” età di settantatré anni Sly fa parte di quella generazione di attori inossidabili di Hollywood che proprio non ci stanno a passare le proprie giornate a guardare i cantieri con in tasca i fazzoletti morbidi succhiando rumorosamente una caramella balsamica. Questo perché Stallone ha ancora molto da dire all’interno di un’industria cinematografica che ha perso la sua peculiare verve nel riuscire ad emozionare senza passare necessariamente per elaborati effetti speciali e realistiche scene in CGI. Dopo l’ultima grande battaglia sul ring di Rocky Balboa nell’omonimo film del 2006 non era semplice riuscire a creare uno spin off di questa leggendaria saga senza rischiare di creare qualcosa che potesse essere un rumoroso e costoso tonfo all’interno dello scettico ambiente dei film di pugilato.
Il pubblico aveva già storto il naso nel 1990 quando uscì nelle sale Rocky V, il capitolo che ha riscosso meno successo dell’intera saga. Non era quindi facile riuscire a creare uno spin off tratto dalla serie madre che potesse continuare a suscitare interesse. Ma ciò è avvenuto con il già citato Rocky Balboa e con Creed– Nato per combattere del 2015 si sono gettate le basi per unire la leggenda a un qualcosa di nuovo. Il secondo capitolo dedicato al figlio di Apollo Creed, avversario di Balboa prima e poi suo migliore amico, funziona molto bene su più fronti. Già nel primo film Stallone ha tentato di fare un passo indietro all’interno della storia, diventando il personaggio che muove i fili di un passato dall’aurea mistica. In questa occasione la sua presenza c’è, è fondamentale ma non è il fulcro della storia.
La grande capacità di Stallone come sceneggiatore è stata quella di riuscire a dare una credibile continuità temporale alla narrazione, prendendo in considerazione il fatto che i fasti del periodo d’oro di Hollywood e dell’attore stesso sono ormai lontani. Probabilmente proprio mentre sto scrivendo questo periodo chi avrà avuto la pazienza di giungere fino a questo punto starà pensando che per Stallone è arrivato il momento di andare in pensione e che il fatto di continuare a portare in scena determinate situazioni sia un fattore anacronistico. Mai affermazione fu più errata.
Il valore aggiunto di Creed 2 è il fatto di unire il passato adattandolo come un vestito elegante e su misura al presente: Dolph Ludgren torna a vestire i panni di Ivan Drago, il cyborg russo che ha ucciso sul ring Apollo Creed in Rocky 4, ruolo che gli ha permesso di diventare poi una delle icone degli action movie degli anni Ottanta e Novanta. Drago allena e gestisce la carriera agonistica del figlio Viktor. Ivan vive nell’ossessione di poter riscattare quel passato che lo ha visto tornare in patria da sconfitto, abbandonato dagli alti vertici della disciolta Unione Sovietica e anche dalla moglie Ludmilla (interpretata anche in questa occasione dall’attrice e modella danese Brigitte Nielsen, ex moglie di Stallone ai tempi di Rocky 4 e della saga di Drago), madre di Viktor. Il ragazzo viene quindi educato verso un solo preciso obiettivo: vincere. A qualunque costo. Le emozioni non sono contemplate. Il ritorno di Ivan Drago e di suo figlio apriranno una serie di ferite mai del tutto rimarginate e che sono ancora vive nello stesso Rocky. L’effetto nostalgia è una delle caratteristica di questo Creed 2 ma è fatto in maniera intelligente, senza voler essere una patetica ostentazione di ciò che è stato e che, inevitabilmente, mai più sarà. La storia funziona, gira bene e la sceneggiatura è ben scritta. In tempi dove si è attaccato un respiratore meccanico per riportare ostinatamente in vita tutto ciò che possa odorare di anni Ottanta, questo film rappresenta sicuramente la maniera più originale per omaggiare quel periodo.
Hank Cignatta
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