La missione dell’intellettuale di oggi
Il ruolo dell’intellettuale nella società, qualsiasi sia l’ambito del sapere di cui si occupa e in cui opera, è una questione che invoca una rigorosa quanto urgente riflessione in merito al presente. Se si considera che il dibattito sui temi più importanti dell’attualità ha luogo principalmente nei salotti televisivi (solo questo dato è sufficiente per rilevare la decadenza del presente) non si può non rilevare che il dotto, non in pochi casi, risulta essere spesso impedito, intralciato, nell’esercizio del proprio lavoro. Va da sé che l’impedimento di cui si parla avviene nelle forme che lo rendono, solo in apparenza compatibile allo spirito democratico A dimostrare ciò è l’atteggiamento che nelle cosiddette arene televisive viene messo in atto nei confronti dello studioso il cui parere si discosti dalla narrazione autorizzata: nella maggior parte dei casi, il branco o il singolo che professa la narrazione autorizzata interrompe, deride, alza il tono della voce contro l’intellettuale che svolge in modo onesto il proprio lavoro. Professione che consiste, in primo luogo, nel fornire delle chiavi di lettura critiche per interpretare il presente attraverso uno sguardo sempre più ampio e comprendente, quindi, la complessità degli eventi; fornire, dunque, le armi per potersi difendere dalla demagogia, dalla propaganda (fascista o democratica che sia), dagli impostori e da ogni distorsione ermeneutica dei fatti che un potere può mettere in atto per i propri fini, per la propria sopravvivenza, per il proprio interesse, per il proprio sadismo.
Quanti in modo fanatico difendono la narrazione autorizzata, scagliandosi contro l’intellettuale che argomenta da una prospettiva diversa, sembrano rispecchiare l’atteggiamento di coloro che Fichte critica nel Vorbericht delle sue lezioni sulla missione del dotto (Jena, 1794), ovvero la pretesa di esemplificare ogni argomento fino al rigetto di quest’ultimo se non conforme al livello immediatamente fruibile e consumabile dei media: però questi soggetti commettono uno sbaglio ciclopico, qualora, in forza della loro incapacità di innalzarsi, chiedano perfino di abbassare ogni cosa al loro grado, accampando ad esempio la pretesa che tutti quanti i testi possano essere impiegati a mo’ di ricettario, di manuale di aritmetica oppure di regolamento di servizio, e spregiando tutto quel che non può essere impiegato in quella specifica maniera (J. G. Fichte, Missione del dotto, trad. di D. Fusaro, Bompiani, Milano 2013, p. 183).
Studiosi di notevole caratura intellettuale, e non «quei “filosofi popolari” che superano con superficialità tutte le aporie, senza fatica e senza riflessione» (ivi, p. 211), operai scientifici della società, vengono ridotti a nulla dal giullare televisivo di turno. Competenze, studi, ricerche, critiche rigorosamente argomentate, prospettive storicamente fondate, diventano improvvisamente una zavorra di cui bisogna disfarsi per fare spazio alla banalità argomentativa, agli slogan, al sentimentalismo, alle esemplificazioni interpretative, a prospettive non rigorosamente fondate.
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Stefano Piazzese
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