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    Max Payne, la personificazione videoludica del dolore

    Eccola lì l’insonnia, mia vecchia amica, che bussa con veemenza alle mie già logore sinapsi. Accendo la televisione, siccome il soffitto della stanza è un elemento che conosco a memoria. Mi muovo ramingo errando da un canale all’altro ma oltre televendite di automobili e voluttuose gattine del sesso che vendono la loro disinibizione su numeri erotici con tariffa media da 50 euro di scatto alla risposta. Non sono in vena di esplorare i vari servizi di film e serie in streaming on demand che questi tempi tecnologicamente avanzati ma idealmente compromessi mettono a disposizione. Il joypad bianco della mia consolle scintilla nell’oscurità, chiamandomi così nel trovare la definitiva soluzione a quella perenne mancanza di sonno, puntuale come un orologio svizzero. La accendo e mi trovo davanti ad una delle trilogie che ha fatto la storia dei videogiochi: la saga di Max Payne. Mi stropiccio gli occhi, cercando di comprendere se quel che si sta palesando sul mio televisore sia reale. Tutto vero. Non ci penso su due volte, avvio l’acquisto in formato digitale e incomincio questo viaggio nel tempo, almeno dal punto di vista videoludico, a ritroso nella mia adolescenza.

    Max Payne è un detective del NYPD, il dipartimento di polizia della città di New York, che sta investigando sul dilagare nelle strade cittadine della Valchiria, una nuova droga molto più potente dell’eroina. La sua vita cambia drasticamente quando una sera, tornando a casa dalla centrale, trova la moglie Michelle e la figlia di pochi mesi barbaramente trucidate nel corso di una rapina finita male. L’omicidio della famiglia di Max Payne si collega alla nuova droga, in quanto gli assassini erano dei drogati in preda ai devastanti effetti della Valchiria. In seguito anche il suo migliore amico Alex Balder viene ucciso da coloro che sono collegati al caso Valchiria, che si rivelerà essere un vero e proprio vaso di Pandora nel quale affondano i loro sudici tentacoli figure di spicco di ogni ambiente della città. Da quel momento in poi Payne passa la sua esistenza in cerca di vendetta, diventando a tutti gli effetti come uno dei protagonisti di quei libri pulp e hard boiled.

    Copertina del primo capitolo della saga di Max Payne nella versione per pc

    Quando nel 2001 il primo capitolo di questa superba saga videoludica poliziesca ha fatto il suo ingresso sul mercato ha rivoluzionato l’universo dei videogames, come del resto è avvenuto per la maggior parte dei titoli prodotti dalla software house Rockstar Games. Degno di nota è il cosiddetto bullett time, un particolare effetto speciale che permette al giocatore di rallentare il momento di una specifica scena, dando così l’impressione di un distaccamento dallo spazio tempo. Quando Max Payne è in una situazione di difficoltà nella quale deve far fronte a un numero elevato di nemici, rallentando l’azione intorno a lui e dandogli modo di mostrare la sua potenza di fuoco e di schivare le pallottole. Tale tecnica venne utilizzata in modo cinematograficamente commerciale nel 1999 dalle sorelle Wachowski nel primo capitolo della saga di Matrix e poi appunto ripreso dalla Remedy e dalla Rockstar per Max Payne.

    Esempio di bullett time in una fase di gioco di Max Payne

    Payne è un personaggio tormentato, che non ha più niente da perdere. La perenne ricerca della vendetta è un pretesto per aprire ogni giorno gli occhi su questa sporca e triste realtà in un mondo che gli ha portato via tutto. Il ritmo della sua esistenza è scandito dal tipo di lavori e missioni nelle quali viene coinvolto e dallo sgranocchiare degli antidolorifici che, durante le partite, gli permettono di ripristinare la salute dalle epiche sparatorie nelle quali è protagonista. Dal primo al terzo capitolo ha subìto un cambiamento grafico: lo scrittore del videogioco Sam Lake presta nel primo capitolo il suo volto incollato su quello del personaggio frutto della sua fervida immaginazione, nel secondo viene scelto l’attore Timothy Gibbs mentre nel terzo James McCaffrey. Nel suo adattamento cinematografico del 2008, diretto da John Moore, viene interpretato da Mark Wahlberg in un film che, seppur disperatamente, non riesce a tenere fede alle atmosfere magicamente noir del videogioco. In definitiva, Max Payne è la rappresentazione videoludica del dolore: non scorrerà mai abbastanza sangue e non voleranno mai abbastanza pallottole per poter soddisfare quella sete di vendetta che annienta un uomo fino al profondo delle sue certezze. Il resto, però, è storia. Tutta da giocare, ovviamente.

    Hank Cignatta

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    Sono la mente insana alla base di Bad Literature Inc. Giornalista pubblicista, Gonzo nell’animo, speaker radiofonico, peccatore professionista, casinista come pochi. Infesto il web con i miei articoli che sono dei punti di vista ( e in quanto tali condivisibili o meno) e ho una particolare predisposizione a dileggiare la normalità. Se volete saperne di più su di me e su Bad Literature Inc. leggete i miei articoli. Ma poi non dite che non siete stati avvertiti.

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