Testate, gomitate e altri colpi micidiali: storia del Lethwei, una delle più brutali arti marziali del mondo
Interno. Sera. Sono malamente svaccato sul divanetto di un locale etnico del centro di Nevrotic Town in compagnia di Ted mentre sono intento a sbuffare una modestissima nuvola di fumo aromatizzato proveniente dal grosso narghilè poggiato sul tavolo davanti a noi. Abbiamo infilato le nostre bici custom all’interno di una saletta inutilizzata del locale dopo che il proprietario ci ha gentilmente permesso di mettere i nostri mezzi in un posto sicuro e facile da tenere sotto controllo. Mentre l’acqua presente nel narghilè ribolle rumorosamente Ted si trasforma in un drago, sbuffando via una grande quantità di fumo che rende in pochi istanti l’ambiente parzialmente nebbioso. Mi affaccio per controllare le nostre bici custom chopper: troppo ignoranti per essere normali, troppo originali per essere comprese. Tutto nella norma. Mi esibisco in un poderoso rutto giusto in tempo prima che una comitiva di studenti universitari fuori sede entri per salire nella sala superiore del locale. Ted mi mostra un video sul suo telefono di quello che sembra, di primo acchito, un match di Muay Thai. “No, questa è Lethwei, la boxe birmana”.
Il Lethwei affonda le sue radici nel XI secolo, quando divenne particolarmente popolare sotto il regno del re birmano Anawratha, il quale era solito organizzare incontri senza regole e assai violenti. Ha dei tratti in comune con altre arti marziali della zona asiatica quali ad esempio la Muay Thai ma si differenzia rispetto quest’ultima per l’uso consentito delle testate. Come arte marziale intende l’utilizzo di ogni parte disponibile del corpo, intendendolo come una vera e propria arma letale: sono infatti consentiti colpi portati con il cranio, pugni, gomiti, ginocchia e piedi. Per tale ragione viene anche definita come l’arte dei nove colpi. Sono previste anche proiezioni e tecniche di clinch, ovvero una fase dell’incontro dove si tende ad afferrare il collo dell’avverario per impedirgli di portare colpi e neutralizzarlo con tecniche di corta distanza (pugni, testate, ginocchiate o gomitate) e proiettarlo al suolo.
I lottatori si affrontano con i pugni fasciati in bende e gli incontri sono diretti da due arbitri i quali hanno anche il compito di dividere gli atleti da prese e clinch e giudicati da sei giudici. A differenza di quanto avveniva nella forma più ancestrale del Lethwei l’unica forma di modernità è dettata dalla presenza del ring. Come avviene anche nella Muay Thai con l’affascinante rito della Ram Muay, la danza propiziatoria che accompagna l’inizio di ogni incontro, anche il Lethwei ha un rito molto simile. I combattenti infatti prima di incrociare i pugni si esibiscono nella Lethwei- Yei, danza guerriera che i pugili eseguono come segno di coraggio: quest’ultimi infatti si percuotono le spalle con le mani opposte per fare intendere che sono pronti ad iniziare il combattimento. Ne viene eseguita una anche al termine dell’incontro per festeggiare l’eventuale vittoria.
Nel corso degli anni la Lethwei ha oltrepassato i confini birmani, giungendo anche altrove sebbene non goda ancora di popolarità assoluta. Ciò ha permesso ad alcuni lottatori stranieri di interessarsi e a competere in questa arte marziali. Tra questi il più famoso è senza dubbio il lottatore franco-canadese Dave Leduc, attuale campione del mondo di Lethwei della categoria openweight (nella quale non vi è distinzione alcuna di peso) per la sigla della World Lethwei Championship e diventando il primo lottatore non birmano a vincere il titolo mondiale. L’avvicinamento di Leduc alla Lethwei è assai particolare: dopo un promettente inizio di carriera nelle MMA nel 2013, all’età di ventun’anni vola per la prima volta in Thailandia, dove si allena con profitto e successo nella Muay Thai vincendo i suoi primi incontri. Nel 2016 una legge canadese rende fuorilegge sia la Muay Thai che il Lethwei: Leduc decide quindi di abbandonare tutto e trasfersi in Thailandia, dove si dedica ad allenamenti sempre più intensi nella Thai. Partecipa così nel 2014 al Prison Fight Thailand, evento sportivo organizzato dal dipartimento di correzione e detenzione thailandese dove i detenuti posso vedersi ridotta la pena o addirittura guadagnarsi la libertà combattendo in una serie di match di Muay Thai contro atleti stranieri ( come visto nel film Una preghiera prima dell’alba), aggiudicandosi l’incontro al terzo round.
Nel 2016 viene invitato a fare il suo debutto nella Lethwei nel corso del primo torneo mondiale della disciplina in Myanmar contro l’imbattuto beniamino locale Too Too. Leduc tiene testa all’idolo di casa, mettendolo anche seriamente in difficoltà, ma non abbastanza da aggiudicarsi l’incontro. Questo match gli permette di far breccia nel cuore del popolo birmano: lui rimane affascinato dalla Lethwei e decide di allenarsi con impegno fino a diventare uno degli atleti simbolo di questa particolare sport da contatto. Recentemente il presidente della UFC Dana White si è espresso favorevolmente all’idea di poter vedere combattere Leduc nella scuderia della sua sigla di arti marziali miste, ma il diretto interessato ha seccamente liquidato il suo interesse affermando che “le MMA sono per fighette. Voglio rimanere concentrato sul Lethwei”. A discapito di quello che può sembrare, il Lethwei è una disciplina caratterizzata dal rispetto per l’avversario e per le tradizioni e della quale sentiremo sicuramente parlare più spesso.
Hank Cignatta
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