Blank Madness
Stanco ancora dalla sera prima. Gli occhi impiastricciati di illusioni, sogni e fumo di sigarette. La testa pesante che galleggia in una dimensione tutta sua. Troppo pesante da essere tenuta tra le mani, troppo distratta da rimanere tra le severe recinzioni della mente. Guardo la sveglia con sincero risentimento mentre lei, beffarda, mi informa che ormai è ancora presto ma nello stesso tempo troppo tardi anche soltanto per abbozzare la sceneggiatura di un qualsivoglia sogno. Una risata beffarda mi si dipinge sul viso mentre crollo nuovamente in un sonno di protesta. La realtà che mi circonda è in penombra e faccio fatica a decifrare dove mi trovo. Sento un brusio di persone intente ad intavolare migliaia di conversazioni. Alcune finiscono con una risata, accompagnate da un’amichevole pacca sulle spalle. Alcune invece sono maldestri tentativi di rimorchio da parte di improvvisati ed alcolici playboy nei confronti di alcune donne che avranno qualcosa in più da raccontare alle loro colleghe quando lunedì torneranno in ufficio.
Mi accorgo che del fumo denso avvolge la stanza. Al fondo del bancone un gruppo di motociclisti si abbandona in risate grasse e sguaiate, sbattendo i pugni e pretendendo un nuovo giro di whiskey. Riesco a scrutare la sagoma di una figura non ben definita che serve loro da bere. Poco più in la rumoreggiano anche alcuni avventori che di certo non annoverano la pazienza tra i loro pregi. In sottofondo Soul Sacrifice dei Santana risuona dal juke box presente al centro della stanza. Il neon dell’insegna verde presente sul muro del ripiano delle bottiglie di alcolici ronza con insistenza, risultando quattro o cinque volte più amplificata rispetto al normale.
Quel rumore intermittente fa interferenza nel mio cervello e sento che potrebbe seriamente portarmi alla pazzia. Da dietro il bancone scorgo quello che sembra essere un brooker di Wall Street. Negli occhi ha un’espressione da psicopatico. Mi guarda e sfodera il suo migliore sorriso da yuppie. Lo squadro attentamente. Eppure quel tizio l’ho già visto. Ne sono sicuro. Mentre la mia mente scorre alla velocità della luce lo schedario dei miei ricordi per poter dare un nome a quel volto, realizzo che si tratta di Patrick Bateman. «Allora Hank, che cosa ti servo da bere?» Sta agitando uno shaker. Ne versa il contenuto in un bicchiere Martini. Quel bicchiere si riempie di rosso e dentro ora galleggia un bulbo oculare. Spiazzato, non so cosa rispondere. Mi limito a guardarmi attorno per cercare di capire qualcosa in più circa il luogo in cui mi trovo e le persone che lo frequentano. Il mio sguardo ritorna su Bateman, il quale ora inizia a ridere come uno squilibrato.
La musica al juke box cambia. Poco dopo dalle casse risuona una versione rallentata e distorta di Highway Star dei Deep Purple. Il ronzio dell’insegna torna a ferire le mie sinapsi, mentre una persona con un completo color beige mi urta. E’ Aldoux Huxley, in pieno trip di LSD, intento a distribuirla a tutti i presenti. Gira vorticosamente su se stesso, ridendo beato e tenendo gli occhi chiusi. Poco dopo delle gocce di sangue gli solcano il viso. L’eco di alcune risate risuona in una stanza adiacente. Seduti su un quello che sembra essere un divano ricavato da vecchi vinili fusi insieme ci sono Lemmy Kilmister dei Motorhead, Keith Emerson, David Bowie e Prince che se la ridono di gusto mentre un televisore in fiamme trasmette le immagini di un talent show musicale. Mentre cerco di raccapezzarmi in quel delirio onirico l’insegna al neon torna a fare rumore e a picchiettare con smodata violenza nella mia testa. Il rumore diventa fisso, insopportabile e sempre più acuto. Finché non si trasforma nel suono fastidioso della sveglia. Ritorno violentemente alla realtà. Disteso nella pacifica comodità del mio letto. In una pozza di sudore. Come il capitano Willard all’inizio di Apocalypse Now. E in una giornata fatta di citazioni il sole non mi è mai sembrato così luminoso come oggi.
Hank Cignatta
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