Le MMA e il caso di Colleferro, ovvero quando i media continuano ostinatamente a non capire un cazzo
Il caso della morte di Willy Monteiro Duarte, il ragazzo di ventuno anni ucciso brutalmente a calci e pugni nella notte tra sabato e domenica scorsi a Colleferro, sta tenendo banco nell’opinione pubblica. Ciò che lascia increduli è il fatto che ci sia stata una giovane vita spezzata nel fiore dell’entusiasmo da parte di quattro coetanei sfaccendati che null’altro sono di diverso rispetto ai criminali che si sono dimostrati di essere. L’unica colpa, sempre se così si possa definire, è quella di essere intervenuto a difesa di un suo amico e di aver incontrato un branco di codardi che non hanno esitato ad infierire con calci e pugni su una persona inerme e non in grado di potersi difendere adeguatamente. Nonostante il quadro dell’intera vicenda non sia confortante per la piega sociale che stanno prendendo le nuove generazioni, i media si sono focalizzati su un solo dettaglio: due degli aggressori di Willy, i fratelli Bianchi, erano praticanti di arti marziali miste, comunemente conosciute come MMA. Scatta dunque la caccia a cercare di capire che cosa sia questo sport che negli ultimi tempi sta prendendo piede tra i giovani e non solo, creando una vera e propria caccia alle streghe nei confronti della disciplina marziale e dei suoi praticanti, bollati come ignoranti picchiatori con il cervello avvolto nel Pluriball. Perché quando il saggio indica la Luna, per lo stolto è decisamente molto più comodo fissare il dito.
Ecco quindi che i media, terminata la quarantena forzata e l’unica tematica sulla quale fare leva nelle già provate sinapsi dell’italiano medio, cavalcano l’onda del sensazionalismo montando un caso su un dettaglio che pare voglia mettere in secondo piano la gravità stessa dell’intera faccenda. Pare infatti che sia più grave che due degli assassini di Willy Duarte praticasse MMA piuttosto analizzare la faccenda nel suo intero insieme. Non bisogna infatti porsi domande sul fatto di quanto sia grave che quattro persone brutalizzino fino alla morte una persona inerme e non in grado di difendersi? E non genera forse qualche dubbio che certi individui, dalle varie foto che hanno pubblicato sui loro profili social, esaltassero uno stile di vita al di sopra delle loro possibilità economiche e sociali? No, l’importante è focalizzarsi sul fatto che due di quei quattro avanzi di galera praticassero le arti marziali miste. E non erano neppure dei campioni. Non hanno vinto nessun titolo. Erano solo degli esaltati che alimentavano il loro ego con ciò che le loro menti limitate non hanno mai avuto modo di comprendere.
Ovviamente come spesso accade negli ultimi tempi, a causa anche di quel finto sentore di libertà che danno i social network, l’italica ignoranza dell’italiano medio si è scagliata contro le arti marziali miste e gli sport da combattimento in generale. Fomentato da una grave disinformazione portata avanti dai media, l’odio dell’opinione pubblica si è scagliata contro discipline che nulla hanno a che fare con l’ignoranza, la delinquenza e la mancanza di valori. E mentre le MMA passano attraverso le forche caudine dei processi social per difendere la categoria sono intervenuti anche Alessio Sakara e Marvin Vettori, due tra i più rappresentativi lottatori di arti marziali miste conosciuti anche a livello internazionale, ribandendo il fatto che il culto della violenza non è un valore delle arti marziali, degli sport da combattimento e delle discipline marziali in senso più ampio.
E’ oggettivamente ridicolo leggere commenti di persone che invocano la messa al bando delle arti marziali miste, del pugilato, della kick boxing, della muay thai e delle arti marziali in generale bollandole come discipline dove l’elemento portante è la violenza. E a dirlo sono magari le stesse persone che non fanno sport da quando hanno presentato il certificato medico per l’esenzione da educazione fisica alle medie e che scalpitavano per andare a fare jogging durante la quarantena. Sollevatori professionisti di ipotesi, con due concetti in testa e pure mal incastrati. E mentre programmi televisivi e talk show hanno materiale buono sul quale poter (s)parlare almeno fino ad autunno inoltrato, c’è anche l’altro fronte dell’ignoranza galoppante su questa faccenda: coloro che commentano le foto sui profili Facebook degli assassini di Willy. Che sia chiaro, non vi è alcuna giustificazione umanamente opinabile per un gesto di mera violenza fine a se stessa come questo. Ma chi va a commentare augurando la peggiore delle morti a loro, alle loro famiglie, alle persone che gravitano nelle loro esistenze e via discorrendo non sono migliori di chi si è macchiato di un delitto che ha tolto la vita ad un ragazzo innocente. L’ignoranza genera altra ignoranza. E in questi tempi non è assolutamente una benedizione, ma una scelta ben precisa.
Hank Cignatta
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