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    Rock to death: la morte suona sul palco parte I

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    Anni Novanta. Una sera qualunque di un rovente giorno di luglio. Mark Roncoe, investigatore privato di San Elmorazo, è sverso in malo modo sul divano del suo sudicio appartamento in De Bereghe Avenue in un quartiere popolare incastonato in una cornice dove a farla da padrone è la criminalità giovanile, lo spaccio di droga e la prostituzione. I suoni che riecheggiano in maniera più ricorrente tra le strade di Bereghe Avenue non sono i clacson delle macchine, ma i colpi di pistola esplosi dalle gang che cercano di contendersi il traffico di droga della città. E la legge dov’è in tutto questo marasma, direte voi? Ne sta bene alla larga.

    La società composta dai perbenisti e benpensanti che predicano la salvezza delle periferie più disagiate è qui che viene ad alimentare le sue lisergiche esigenze, diventando famigliari con i numerosi spacciatori che popolano la zona. Con la speranza di non essere visto da qualche illustre conoscenza. Roncoe guarda la televisione con fare passivo, rimanendo come ipnotizzato a guardare un programma di alcune ragazze ammiccanti in bikini, intente a svuotare interi caricatori di Kalashnikov in una zona desertica. Il tutto regalando plastici sorrisi alla telecamera. Per terra contenitori con resti di cibo cinese, gettati a terra a favore di qualsiasi forma di vita popoli quella triste catapecchia.

    Nella mano destra Roncoe regge la nona bottiglia di birra da 66 cl della serata, ormai calda come il suo piscio. Incazzato, scaglia la bottiglia marrone con tutta la sua forza contro il muro, mandandola in frantumi. Nella mano sinistra, invece, il telecomando. Il mediatico strumento del potere. Con in corpo più alcol che sangue, cambia canale e finisce sulla CNN. Le solite notizie di inseguimenti di polizia a discapito dell’ennesimo delinquente. L’ennesima uscita di Trump che fa discutere l’opinione pubblica e lustrare gli armamenti alla Corea del Nord. Un video amatoriale di alcuni turisti che vanno in Italia e la usano come un’immensa latrina d’artista.

    Poi la notizia che non ti aspetti. Bernie Henderson, cantante e frontman dei Loud Noise, morto. Roncoe scuote la testa,  come se fosse passato bruscamente da un sogno alla realtà. Si stropiccia gli occhi, nella speranza di aver capito male. Le labbra dell’ancor woman scandiscono le parole con lentezza, come se volesse abituare il cervello a recepire quelle parole e che la notizia si stampi con certezza assoluta nelle sinapsi strapazzate e intermittenti del suo spettatore. Uno dei gruppi più famosi delle nuove generazioni di rockstar pare che si sia tolto la vita in una stanza d’albergo proprio a San Elmorazo. Pare che sia un mix letale di cocaina ed eroina, comunemente detto speedball. La stessa morte di John Belushi. Roncoe si desta completamente dal suo torpore e si mette a sedere, con gli occhi sgranati in direzione della televisione. Henderson era una celebrità affermata, grazie alla sua militanza nel gruppo rock dei Loud Noise, che ebbe l’apice della sua popolarità nei primi anni duemila.

    Schermata della notizia data dalla CNN

    Sullo schermo si alternano improvvisamente scene tratte dai concerti del gruppo e la voce del mezzo busto femminile della CNN continua a descrivere con dovizia di particolari la vita turbolenta di Bernie Henderson: dall’infanzia  segnata dalla violenza subita in tenera età all’abuso di droghe, alcol e farmaci. Vengono anche intervistati i responsabili delle cliniche dove Henderson si è recato per disintossicarsi dalle sue dipendenze. Viene posto l’accento sulle sue debolezze umane, facendone uscire il ritratto di una persona dal carattere fragile, introverso e dedito solo alle droghe e all’alcol. Ma Henderson era oltre tutto questo. Ed era molto meglio. Disgustato dal triste circo mediatico che si butta in picchiata con fame rapace sull’ennesimo caso di cronaca, Mark Roncoe estrae la sua pistola .44 e spegne a modo suo quella rumorosa scatola comunemente chiamata televisione.

    Gli ultimi due anni sono stati devastanti per i portatori sani di talento. Quello vero. Non si era ancora metabolizzata la morte di un’altra grande rockstar internazionale, Kenneth Kelly degli Oversun, che bisogna dare l’addio ad un altro artista, direttamente legato a Kelly da una profonda amicizia. Non è un caso che la scomparsa di Henderson sia avvenuta nel giorno del cinquantanovesimo compleanno di Kelly. E nella stessa modalità. Suicidio per impiccagione. Materiale buono per i complottisti. I demoni di Kelly e Henderson hanno avuto la meglio su tutto ciò che di bello e positivo sono stati in grado di creare grazie al loro passaggio su questa Terra. Fama, ricchezza e talento sono nulla in confronto alla profondità delle ombre che albergano negli abissi più profondi dell’animo umano.

    Roncoe si fionda sulla sua collezione di vinili del periodo d’oro del rock. Passa l’indice tra le polverose copertine di quei dischi, muovendolo fino a far ricadere la sua scelta su un greatest hits di Rory Gallagher. Posa il 33 giri sul giradischi, mentre la puntina solca la superficie vinilica dell’LP producendo quel tipico suono che nessun tipo di formato digitale è in grado di dare. Alza il volume del suo impianto hi-fi, si sdraia per terra e lascia che la magia della musica faccia il suo effetto. Il linguaggio universale più potente al mondo, dopo quello dell’amore. In pochi istanti Roncoe sprofonda in una dimensione onirica tutta sua, dove realtà e sogno si fondono in un unico elemento. Ora è seduto al bancone di un bar, intendo a demolirsi il fegato a colpi di whiskey.

    Sembra la triste caricatura di un personaggio di un poliziesco americano anni Settanta. Uno di quei personaggi senza macchia e senza paura, troppo orgogliosi per seguire gli ordini impartiti dall’alto. Troppo bravi per il loro ruolo e troppo testardi per accettare una società che si fa beffe delle regole comuni, dove il perbenismo ha distorto ogni regola precostituita. “Gerry, ancora un giro” dice Roncoe al barista. Si fruga nelle tasche della sua giacca di pelle scura ed estrae tre banconote da cinque dollari. “E lascia pure la bottiglia”. Gerry il barista consegna la bottiglia contenente quell’alcolica psicologia spiccia, arraffando avidamente le banconote. Roncoe continua il suo viaggia alcolico attaccandosi direttamente al vetro di quella bottiglia di whiskey.

    La musica intorno a lui si fa sempre più alta. Dei potentissimi altoparlanti invisibili sparano Soul Sacrifice dei Santana all’ultimo volume. Al centro del locale, sulla pedana, due ragazze sono intente in uno streap tease che intrattiene i camionisti infoiati, i quali mettono mani al portafoglio e fanno volare una pioggia di presidenti morti accanto ai corpi chirurgicamente perfetti di quelle intrattenitrici di professione. La parte di percussioni della canzone è improvvisamente più lunga e fragorosa di quanto Roncoe non ricordasse. Si guarda attorno. Tutte persone delle quali non riesce a scrutare gli occhi. Solo volti senza occhi. Continua a vagare per il locale, fino a raggiungere quella che sembra la stanza di un privé. Sembra una realtà a sé stante rispetto a tutto quello che sta succedendo dall’altra parte del locale. Nella stanza regna un gran frastuono. Persone che parlano, ridano e gridano. Gemiti di donne in preda ad orgasmi sonici e dirompenti. Improvvisamente davanti a Mark si presenta una scena mistica. In quella stanza vede Jimi Hendrix che suona e penetra una ragazza con la paletta della sua chitarra elettrica. Elvis Presley intento a vomitare dietro ad un divano. Steve McQueen e James Dean ricoperti da fiamme alte fino al soffitto, intenti a chiacchierare amabilmente. Aldoux Hustley intento a distribuire LSD come se fossero caramelle a tutti i presenti, mentre nella mano destra regge i suoi bulbi oculari che, dice, di essersi tolto per raggiungere una visione più chiara di questa piatta dimensione umana. David Bowie, John Belushi e Kurt Cobain seduti su un divano fatto di vinili sciolti mentre cantano una versione stonata e lisergica di The Man Who Sold The World. Un puttanaio nonsense in piena regola.

    Roncoe butta giù una consistente golata di whiskey. “Dove cazzo sono finito? Sarò mica morto? Non è che sono entrato nella hall dell’inferno?” si chiede speranzoso, mentre inizia anche ad abituarsi all’idea. Tutti ridono, cantano, scherzano, godono o vomitano. Poi il rumore lontano di una sveglia che si fa sempre più forte. Sempre più forte. Fino a diventare qualcosa di vero. Roncoe si alza di scatto e con gli occhi sbarrati, come se fosse appena uscito dal coma. Alla sua destra la sveglia del cellulare continua a suonare, in attesa che venga disattivata. Dalle casse dell’hi-fi il vinile continua a girare e a gracchiare. Il padrone di casa spegne tutto, si stiracchia e si fionda in bagno per una doccia ristoratrice. Si veste con tutta calma e raggiunge lo studio della sua agenzia investigativa, posto al piano inferiore della sua abitazione.

    Una volta entrato, Roncoe cerca di fare un po’ di spazio su quel campo di battaglia che è la sua scrivania. Un sacco di fascicoli aperti, molti altri da prendere ed inserire nell’archivio sotto la voce Casi chiusi ed archiviati. Si lascia andare come un sacco di patate sulla sua poltrona di pelle. Apre il cassetto sotto la sua scrivania ed estrae una fiaschetta con dentro del bourbon. Una bella golata e la giornata ti sorride. La colazione dei campioni. Si gira verso il muro, dove sono appese diverse foto che lo ritraggono con alcune celebrità che si sono avvalse dei suoi servigi: Dr. Dre, Steve Tyler, Uma Thurman, Danny DeVito, Sylvester Stallone e via discorrendo. Mark Roncoe è uno tra gli investigatori privati più famosi e quotati della California e la sua fama si è fatta strada anche tra le celebrità di Hollywood. Chi si è rivolto a lui per verificare la fedeltà coniugale di mogli e mariti illustri, chi per cercare di far sparire alcune foto compromettenti che avrebbero messo in serio pericolo la carriera di questa o quell’altra star e chi invece lo ha assunto per vigilare sulla propria sicurezza. Con tutti i soldi guadagnati avrebbe potuto comprarsi un appartamento in un quartiere di lusso. O cambiare il suo studio. Invece li ha spesi tutti per spappolarsi il fegato in pregiate bottiglie di whiskey, rum e sigari cubani.

    Roncoe si fa un altro sorso dalla fiaschetta, quando un rumore proviene dalla stanza accanto al suo studio. E’ ancora girato verso le foto quando sente dei rumori di passi farsi sempre più vicini. Roncoe si gira di scatto, impugnando la sua .44 . “Fai ancora un passo e ti mando all’altro mondo”.  “Hey amico non sparare! Pace!”  Roncoe cerca di capire chi ha davanti. Stivali di pelle di coccodrillo, pantaloni di pelle aderenti e una canottiera smaccata degli AC/DC su cui scende una cascata di capelli biondi. Ma è un uomo. “Mi manda qui Rick Rubin, ha detto che sei il migliore”. Mark riflette sulle parole di quell’individuo. “Rick Rubin il produttore musicale?” Il tizio ha le mani alzate. “Si, proprio lui. Dice che sei il migliore nel tuo campo”. Roncoe continua a tenere quel tizio capellone sotto tiro, mentre cerca di dargli un’identità.

    Sarà un cliente che ha chiamato per un’appuntamento di cui si è completamente dimenticato? Poi, continuando a guardarlo, arriva alla soluzione dell’enigma. “Amico, però adesso abbassa quel cannone. Vengo in pace”. Quella voce. Gli sembra famigliare. Come se l’avesse già sentita in vita sua. “Ma tu sei Axel Manner, il chitarrista dei Loud Noise”. Roncoe abbasso la pistola. “Che ci fai qui? Ho saputo della storia di Henderson”. Manner si fa scuro in volto. “E’ una fottuta tragedia. Bernie aveva una vita incasinata ma mi rifiuto di credere che volesse farla finita. L’altro ieri siamo stati al telefono tutto il giorno e non vedeva l’ora di tornare in sala di incisione”. Roncoe si lascia cadere nuovamente sulla sua poltrona di pelle. Un nuovo sorso dalla fiaschetta. “Perché vieni a dirle a me queste cose? La polizia e i media sono li che bramano nella speranza di poter avere nuovi dettagli da poter gettare in pasto alla morbosa curiosità dell’americano medio. In fondo la vita  per la società non vale più un cazzo e se ne fotte delle motivazioni che portano una persona a compiere un gesto così estremo”. Manner si avvicina a Roncoe, come se volesse spiegargli meglio la vicenda. “E’ proprio per questo che sono venuto qui. La polizia ha bisogno di dettagli da passare alla stampa, che non vede l’ora di riempire giornali e programmi televisivi con dettagli personali e a volte inventati su Bernie per screditare la sua figura. Noi siamo rocker, coloro che hanno soldi e fortuna suonando la musica del demonio. Roncoe ruota le palle degli occhi come se avesse appena annusato merda di mucca fresca. “Ascoltami bene, rockstar. Non so chi ti abbia detta di venire qui, se mi stai prendendo in giro o se sei una montatura di qualche genere. Ma il mio mestiere è quello di portare a galla dei misteri, per cui…” Manner si avvicina a Roncoe e lo afferra per il bavero della camicia. “Ed è proprio per questo che sono qui, brutto figlio di puttana. Mi hanno detto che sei il migliore e la situazione qui puzza di marcio. Bernie non si è suicidato e io voglio vederci chiaro. Non importa quale sia la tua tariffa. Io te la quadruplicherò. Voglio soltanto che venga fuori la verità, che di certo non è quella che appare adesso”. Roncoe si libera dalla presa di Manner. Sta in silenzio per pochi secondi. “Vuoi dire che allora Henderson è stato…”  “Ucciso. Esattamente come Kelly”. Mark fa una strana smorfia, come se fosse stato colpito da una potente scossa elettrica. Prende un taccuino e una penna. “Dimmi di più”.

    Fine prima parte

    Hank Cignatta

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    Sono la mente insana alla base di Bad Literature Inc. Giornalista pubblicista, Gonzo nell’animo, speaker radiofonico, peccatore professionista, casinista come pochi. Infesto il web con i miei articoli che sono dei punti di vista ( e in quanto tali condivisibili o meno) e ho una particolare predisposizione a dileggiare la normalità. Se volete saperne di più su di me e su Bad Literature Inc. leggete i miei articoli. Ma poi non dite che non siete stati avvertiti.

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