Paura e delirio a Sanremo, ovvero come il Festival è diventato anacronistico. Il punto di vista di un Gonzo
E anche questa edizione del Festival di Sanremo ce la siamo levata dalle palle, come direbbe l’immenso Riccardo Garrone in una celebre scena tratta da Vacanze di Natale del 1983, in un impeto di sincera rottura di coglioni. Quest’anno la kermesse canora, giunta alla sua settantesima edizione, ha fatto parlare ben prima della sua serata di debutto. Un pò perché viviamo in tempi dove è facile attivare con un semplice tasto la cosiddetta indignazione a comando, comportamento virulento dove sarebbe troppa grazia attivare il cervello prima di pensare o di riversare la propria opinione sui social network. Tra l’utente medio e la realtà c’è ormai un collegamento diretto tra l’inscatolamento dei neuroni ( accuratamente avvolti e conservati in fogli di Pluriball per evitarne il deterioramento ma che, in fin dei conti, non vengono mai impiegati) dove la tastiera, sia essa fisica o virtuale, da automaticamente l’impressione di avere il diritto di proferire qualsivoglia puttanata. Il vivere in una società che ha perennemente una scopa di saggina su per gli anfratti più remoti del proprio sfintere non è certo una cosa facile: se a tutto questo aggiungete il fatto che anche quest’anno la musica è passata in secondo, terzo, quarto e addirittura quinto piano si può cercare di avere una sorta di quadro completo della situazione.

Il Festival di Sanremo però ha il potere taumaturgico di indignare praticamente la maggior parte della popolazione italiana che dichiara di boicottarlo e di non volerlo vedere ma che, puntualmente, ne parla sempre. In metropolitana (tra gli starnuti e gli scongiuri di chi spera di non essersi appena beccato il tanto temuto CoronaVirus), al bar, in radio e per la strada si possono avvertire i commenti velenosi nazional popolari che commentato ciò che hanno visto la sera prima. Anche perché se qualcuno volesse preservare i propri sensi dalla visione del Festivàl (detto alla Mike Bongiorno) dovrebbe vivere in un bidone dell’umido in quanto gli aggiornamenti su quanto avvenuto la sera era accuratamente riportato in ogni edizione dei telegiornali dei tre canali della tv di Stato. Capisco il campanilismo aziendale ma quel che è troppo è troppo. Echeccazzo.

Analizzando brevemente questa settantesima edizione conclusasi da poche ore ne traspare il fatto che il buon Amadeus, scelto dalla Rai come nuovo uomo immagine aziendale, sicuramente qualcosa di buono ha fatto. Ma senza la presenza di Fiorello, vero e proprio mattatore di razza capace anche di andare a tappare i buchi degli imprevisti come nell’ormai epico Morgangate (di cui, molto probabilmente, a breve sentiremo anche parlare in Parlamento data l’importanza di codesta stronzata) avrebbe fatto davvero ben poco. Per il resto se non ci fossero stati momenti sponsorizzati e certificati dalla dittatura del finto perbenismo di base, polemiche, siparietti e quant’altro si starebbe parlando di un edizione del Festival di Sanremo davvero priva di argomenti da condividere dal parrucchiere o durante un attacco di ribellione sfinterica nei bagni di qualche centro commerciale.

La realtà è solo una: il Festival di Sanremo è diventato ormai anacronistico all’interno della programmazione di una tv che, per tenere il passo di Internet, dei social media e delle nuove piattaforme di intrattenimento, scimmiotta ciò che passa in Rete. Se la gente prende per il culo qualcuno che fa un video dove mangia porzioni esagerate di cibo ( il fenomeno in questione si chiama mukbang) facendo generare a chi carica il video milioni di visualizzazioni è il segnale di qualcosa che non funziona all’interno della nostra società. La televisione odierna quindi, con i suoi talent e i reality show, porta lo spettatore a guardare dei contenuti dove la competizione è all’ordine del giorno: se hai un talento devi passare attraverso il giudizio di tre giudici, se sai cucinare (o vuoi diventare il gran visir di tutti i cuochi) devi passare attraverso il giudizio di tre giudici. Se vuoi avere della visibilità diventi un tronista, una velina o ti ficchi in una casa dove vieni spiato ventiquattr’ore su ventiquattro. E alla fine di tutto questo, c’è sempre la trepidante attesa nel sapere il nome del vincitore. Perché quindi qualcuno dovrebbe restare in trepidante attesa nel vedere il vincitore del Festival di Sanremo se alla fine c’è Amici che sfornerà il prossimo artista da classifica (che parteciperà ugualmente a Sanremo) o il Grande Fratello che decreterà il suo vincitore? Il Festival di Sanremo è quindi anacronistico. Non mi credete? Allora vi chiedo molto semplicemente, a freddo e senza consultare San Wikipedia, chi ha vinto l’edizione del Festival di Sanremo di cinque anni fa o il ritornello della canzone vincitrice. Se non sapete rispondere il motivo è molto semplice: il tempo in cui Sanremo, le sue canzoni e i suoi vincitori erano in grado di incidere una tacca permanente nella cultura popolare italiana è terminato. Quindi viva Deodato, la cui canzone è candidata all’oblio nazional popolare e al quale, nonostante tutto, auguriamo una lunga e luminosa carriera. Anche se credo che i fiori di Sanremo non avranno un gran buon odore da qui a qualche anno.
Hank Cignatta
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