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    Fanny, le pioniere del rock al femminile

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    Esterno. L’infernale abitacolo della mia auto. Venerdì sera. Con la mia Fendente Point Blue a quattro ruote sfreccio tra le intorpidite strade di Nevrotic Town in tutto il suo vacuo fascino dettato dal puntuale e consueto esodo estivo. Milioni di teste a forma fallica hanno lasciato la città che in direzione di località balneari dove si accalcheranno per accaparrarsi un misero fazzoletto di sabbia sul quale appoggiare i loro asciugamani e dalle quali torneranno più sclerate di quando sono partite. Giusto per avere qualcosa da raccontare con smaniosa dovizia di particolari durante la pausa caffè. L’aria condizionata torna a far battere il mio pesante cuore ad un battito normale mentre fuori mi domando come le ruote della macchina non diventino un tutt’uno con quell’asfalto rovente. L’autoradio è accesa all’ultimo volume e il mio telefono si preoccupa della selezione musicale, facendo suonare una playlist di rock degli anni Settanta. Giungo ad un semaforo rosso e inizia un nuovo brano. Il display della radio riporta il titolo del brano: Candlelighter Man. Subito dopo il nome del gruppo: Fanny.

    Da sinistra: Nickey Barclay (tastiere), Jean Millington (basso), Alice de Buhr(batteria) e June Millington (chitarra e voce). Le Fanny sono state tra le prime rockband tutte al femminile a raggiungere il successo sia di pubblico che di critica. Sono considerate le madrine del rock in rosa, vero e proprio punto di riferimento per le future rockers a partire dagli anni Settanta in poi.

    L’ascolto degli altri brani prosegue in maniera agevole, con una piacevolissima alternanza di brani che spaziano dalle ballads all’hard rock dei primi anni Settanta, periodo di attività della band. Nel giro di pochi brani, le Fanny diventano la colonna sonora perfetta per quel momento di libertà urbana che stavo vivendo. Riuscendo nella miracolosa impresa di trovare posto sotto casa al primo colpo, parcheggio la Fendente Point blu felice del fatto di aver scoperto un’interessante band di cui nessuno, mannaggia alla dannatissima storia, nessuno menziona (quasi) mai. Devo saperne di più, assolutamente. Internet si rivela, una volta ogni tanto, utile. Le Fanny sono state fondate dalla chitarrista e cantante di origini filippine June Millington e da sua sorella Jean (bassista), alle quali si aggiunsero poi Nickey Barclay (tastierista, che collaborerà poi anche con Joe Cocker, Barbra Streisand e Keith Moon) e la batterista Alice De Buhr.

    Le sonorità delle Fanny spaziano dall’hard rock degli inizi degli anni Settanta a sonorità marcatamente funk, il tutto fuso insieme ad una fresca e scanzonata potenza rock che ben si adatta alle peculiarità delle artiste. La voce e gli assoli di chitarra di June Millington si uniscono in maniera del tutto naturale al vellutato tocco delle tastiere di Nickey Barclay (in completa sintonia con i gruppi del periodo che facevano largo e sapiente uso di questo strumento quali The Doors, Deep Purple, Santana, Iron Butterfly e tanti altri). Nel corso della loro carriera registrarono cinque album in studio ( Fanny 1970, Charity Ball 1971, Fanny Hill 1972, Mothers Pride 1973 e Rock and Roll Survivors 1974) e raggiunsero per ben due volte la Billboard Hot 100 top 40 singles prima con la canzone Charity Ball tratta dall’omonimo album del 1971 e poi nel 1972 con Ain’t That Peculiar, cover del brano di Mevin Gaye. Si sciolsero nel 1975 e il titolo del loro ultimo album fu davvero profetico: c’è un modo per sopravvivere al rock ed è quello di entrare nella leggenda che, però, alcune volte stride con la realtà dei fatti e di tempi dove la qualità viene messa sottochiave per dare spazio a un qualcosa che emoziona solamente a comando e a scatola chiusa.

    Le Fanny in una foto degli anni Settanta

    All’apice del loro successo le Fanny diventarono un vero e proprio caso, non solamente dal punto di vista discografico: molte delle loro fan le scrivevano delle lettere per chiederle come fare a mettere su una band come la loro. Ben presto trovarono degli estimatori anche tra i protagonisti della scena mainstream, tra i quali il più famoso è sicuramente David Bowie il quale ebbe a dire delle Fanny: “Erano straordinarie: scrivevano ogni testo e ogni parte strumentale dei loro pezzi, ci mettevano l’anima, davvero. Avevano un talento semplicemente colossale e meraviglioso. Eppure nessuno le menziona”. Proprio questa dichiarazione di Bowie fa riflettere su come e quanto le Fanny siano state fondamentali per una delle miriadi di sfaccettature che il rock ha assunto nel corso degli anni. Se non ci fossero state loro gruppi come le The Bangles e le The Runaways e artiste come Lita Ford, Joan Jett, Patti Smith e tante altre non sarebbero mai esistite. Sono state in grado di tracciare una strada che ad oggi è considerata normale mentre invece qualche anno fa sarebbe stata impensabile. Ma tutto ciò, molto evidentemente, non è stato abbastanza. Pare che le Fanny siano state ignorate da quella stessa storia della musica che loro hanno contribuito a scrivere e che le rinnega senza una valida motivazione. Ed è così quindi che certi sbiaditi ricordi rivivono nei frizzanti assoli di quella che è stata la band pioniera del rock al femminile e che da oggi sono entrate, inevitabilmente, nella lunga lista dei miei gruppi preferiti.

    Hank Cignatta

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    Sono la mente insana alla base di Bad Literature Inc. Giornalista pubblicista, Gonzo nell’animo, speaker radiofonico, peccatore professionista, casinista come pochi. Infesto il web con i miei articoli che sono dei punti di vista ( e in quanto tali condivisibili o meno) e ho una particolare predisposizione a dileggiare la normalità. Se volete saperne di più su di me e su Bad Literature Inc. leggete i miei articoli. Ma poi non dite che non siete stati avvertiti.

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